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[II-A II-B II-C] Una scuola aperta e diffusa

16 Marzo 2022 - Formazione

  • Un’attività dell’associazione Io Sono di Roma

Durante il corso di giornalismo, nelle tre seconde medie dell’I.C. Fratelli Bandiera di Roma, i ragazzi e le ragazze dopo aver discusso di scuola e messo in comune alcune idee su come migliorarla, hanno preparato e realizzato un’intervista a Giovanni Fioravanti, docente, ex dirigente scolastico e autore del libro Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza. Dieci domande impegnative, dieci risposte non scontate per esercitarsi con il genere giornalistico più antico, l’intervista, e per non smettere di ragionare sulla scuola.


Da quando è appassionato di scuola?

Da quando ho deciso che dovevo fare qualcosa per impedire che altri vivessero la mia esperienza scolastica assolutamente negativa fin dal primo giorno che ho messo piede nella scuola. Quattordici anni dopo ho vinto il concorso come maestro elementare e quando sono entrato nella scuola che mi fu assegnata come sede di lavoro scoprii che tutto era ancora come quando a sei anni feci il mio ingresso in prima elementare.

Pensa sia migliore la scuola di oggi o quella di una volta?

La scuola come istituzione, come è strutturata non è molto diversa da quando è nata nella seconda metà dell’Ottocento e nel mondo un po’ tutte le scuole si assomigliano. Ma la scuola rispecchia la cultura del tempo e della società in cui vive e da questo punto di vista certamente la scuola di oggi è meglio della scuola di ieri.

Come possiamo migliorare la scuola? Pensa sia possibile farlo con il contributo degli studenti?

La mia esperienza, il mio bagaglio di conoscenze didattico-pedagogiche, il guardare in giro per mondo mi suggeriscono che nessuna legge o riforma cambierà la scuola. Che compito della politica è quello di creare le condizioni perché a cambiare la scuola siano i suoi protagonisti, nel loro lavoro quotidiano, prima di tutto gli insegnanti e gli studenti, fino a tutto il personale che vi lavora. Ma è necessario iniziando con il cambiare i pensieri sulla scuola, i pensieri che sono divenuti luoghi comuni e ancora ci condizionano. A partire dal pensiero per cui l’adulto che “sa” trasmette il suo sapere all’alunno che “non sa” perché è piccolo, perché deve crescere e il sapere, come diceva Gianni Rodari, gli viene fornito in pillole. E per fare questo occorre la cattedra che sta lì nell’aula come un pulpito in chiesa e poi tutti gli alunni della stessa età nella stessa classe ognuno in fila nel suo banco, a fare tutti le stesse cose, secondo un orario che scandisce il passaggio da una materia all’altra, uccidendo dialogo, interessi e curiosità… Questa non può essere la scuola, perché non sarà mai la scholè dei greci, l’incontro con il sapere, il gusto della scoperta del sapere, la curiosità che spinge a ricercare il sapere, a motivare e appassionare allo studio, che stimola l’intelligenza a formulare pensieri nuovi, ipotesi da verificare, per scoprire sempre nuove conoscenze in una avventura che è l’avventura umana di tutti i tempi, che è la strada che da sempre percorre la scienza. Ma questo amore per il sapere e lo studio per possederlo deve essere allevato e nutrito a scuola, e una scuola che mortifica cultura, sapere e persone è una scuola che ha fallito perché uccide la passione per lo studio, compiendo il più grave danno che possa essere fatto nei confronti di una persona.

Quale relazione dovremmo creare con gli insegnanti?

L’insegnante è un adulto che esercita una professione e la sua autorevolezza dipende dalla competenza che dimostra di possedere, è colui che dispone degli strumenti del sapere e dell’apprendimento nell’ambito di una disciplina. È l’adulto che ha il compito di prendere per mano ogni ragazzo e ogni ragazza con cui lavora e portarlo a raggiungere il traguardo. Ha una responsabilità enorme, impedire che nulla delle mille ore della vita che mediamente ogni studente ogni anno impegna sui banchi di scuola vada sprecato, perché verrebbe sottratto alla riuscita del progetto di vita di ciascuna ragazza e di ciascun ragazzo. Credo che il rapporto tra insegnanti e studenti sia un rapporto complementare, occorre riuscire a darsi una mano reciprocamente per raggiungere un obiettivo comune che è la realizzazione di ogni singolo studente.

Come fare scuola nel quartiere?

A me viene di modificare la vostra domanda in “Come essere scuola nel quartiere?”. Intanto la scuola apra le sue aule, i suoi spazi e le sue risorse a partire da quelle umane, studenti e insegnanti, al quartiere, diventi un luogo dove continuare a stare anche dopo che sono finite le lezioni. Sia un luogo accogliente, amichevole e amico del territorio, un luogo di iniziative, di incontri, di attività, di doposcuola oltre l’orario scolastico, fino a sera tardi se necessario. E dall’altra parte il quartiere offra i suoi spazi come aule polivalenti alla scuola, organizzando e strutturando opportunità di apprendimento anche originali. Il quartiere può offrire i laboratori che non ci sono a scuola, il quartiere è sempre ricco di apprendimenti perché ogni struttura e ogni persona del quartiere sono occasioni di apprendimento. La scuola è un edificio come tanti altri del quartiere, l’apprendimento non ha una sede privilegiata rispetto ad un’altra, questa è un’altra delle nostre storture sulla scuola, l’importante è avere chiaro il progetto di apprendimento che si vuole realizzare.

Oggi parliamo di apprendimento permanente nel senso che non si smette mai di apprendere, non esistono solo gli apprendimenti formali della scuola, ma anche gli apprendimenti non formali come quelli sul lavoro o guardando un documentario, un film o visitando un museo o assistendo a una conferenza, ecc, fino agli apprendimenti informali che sono quelli che compiamo ogni giorno ad esempio in famiglia. Insomma non c’è più un’età in cui si studia e una in cui non si studia più. Le conoscenze avanzano velocemente nel mondo e se non si aggiornano continuamente i propri saperi si rischia di non sapere come affrontare sfide sempre nuove dalla difesa dell’ambiente a quella della salute, dalla ricerca scientifica alle nuove tecnologie. L’apprendimento permanente è centrale ed è il motivo per cui la scuola deve formare ad apprendere da soli, in modo autonomo e non fornire conoscenze già confezionate, destinate ad essere superate e quindi inservibili.

Trova sia importante insegnare anche all’aperto?

Dove sta scritto che non si deve insegnare all’aperto? Ci sono cartelli che lo vietano? Fanno multa per uso improprio del suolo e dell’aria pubblica? Certo che è importante insegnare all’aperto, ma come in tutte le cose è importante soprattutto quello che si vuole fare all’aperto. Poi certo piuttosto che stare in venticinque in un’aula semmai neppure spaziosa e attraente, meglio il cortile della scuola, un parco, una strada o una piazza del quartiere, del paese o della città. Anche qui si tratta di superare i nostri preconcetti pare che sia solo l’aula lo spazio deputato all’insegnamento. Conquistare l’aperto è una sorta di respiro e di liberazione.

A me piacerebbe trovare gli studenti agli angoli delle strade che insegnano quello che hanno appreso lavorando a scuola o che presentano i loro progetti. Io farei il Festival dell’Apprendimento per le strade e le piazze del quartiere coinvolgendo le scuole e con gli studenti protagonisti che organizzano eventi, per festeggiare tutti quelli che sono impegnati ad apprendere dai bimbi del nido fino agli anziani.

Ha senso scegliere alcune materie da studiare? Quali ritiene siano oggi più importanti?

A me piacerebbe poter studiare tutto, ma non sono Pico della Mirandola e non mi risulta che ci sia mai riuscito nessuno. Perciò ciascuno di noi sceglie di studiare sulla base dei propri interessi e delle proprie attitudini. Ma per fare questo occorre essere addestrati all’apprendimento e gli anni fondamentali per questo “addestramento”, perché sono gli anni in cui il nostro cervello è più assorbente, vanno dalla nascita fino almeno all’adolescenza intorno ai sedici anni. Ecco perché gli anni che state vivendo a scuola sono importantissimi e occorre averne la massima cura proprio dal punto di vista delle cose da imparare addestrandosi alla ricerca e allo studio. Io penso che in questa fase tutte le materie di studio siano importanti, purché l’apprendimento non sia meccanico e quindi per nulla significativo, ma sia apprendere a praticare gli strumenti che nell’ambito di quella disciplina gli studiosi prima di noi hanno utilizzato per costruire le conoscenze e comprenderne l’applicazione anche in campi distanti da quella disciplina. Perché possedere questi strumenti ed esercitarsi ad usarli, ci permetterà un domani, una volta che avremo abbandonato lo studio di quella particolare disciplina, se per caso nascerà un nostro interesse specifico, di tornare ad accostarci a quella disciplina in piena autonomia. Un grande psicologo e pedagogista statunitense, Jerome Bruner, sosteneva che è possibile spiegare il principio della rifrazione della luce anche ai bambini della scuola dell’infanzia a partire da una palla lanciata contro un muro. A volte certe materie ci vengono a noia perché è sbagliato il modo con cui ce le fanno incontrare.

Mi chiedete quali siano per me le materie oggi più importanti. Innanzitutto quelle che vi permettono di imparare ad apprendere in maniera autonoma, perché nessuno oggi ha la palla di vetro per prevedere come sarà il mondo tra quindici-venti anni quando sarete adulti e dovrete affrontarlo. Prima di tutto penso alle materie scientifiche, quelle che aiutano il cervello a ragionare e a risolvere problemi, le nuove tecnologie indispensabili per accedere alle banche dati e per essere interconnessi nel mondo e poi le lingue necessarie a comunicare e a unire il mondo, dalla propria lingua madre, all’inglese. Ma bisogna anche essere competenti rispetto al mondo in cui si vive e quindi è fondamentale conoscere la storia mondiale e la geografia del mondo se vogliamo essere in grado di sentirci parte dell’umanità e tutelare l’ambiente in cui viviamo.

Perché le valutazioni sono fondamentali?

Cosa intendete voi per “valutazioni”? Se intendete i voti della scala decimale con cui si pretende di misurare le performance degli studenti, vi dico subito che non solo non sono fondamentali ma sono controproducenti. C’era uno studente delle superiori preparatissimo in fisica, sapeva tutto sulla carrucola. Quando il professore lo chiama alla cattedra per interrogarlo gli chiede di parlargli della puleggia. Il ragazzo fa scena muta e viene mandato al posto dal professore con un due sul registro: preparatissimo in fisica, ma non sapeva che in italiano carrucola e puleggia sono la medesima cosa. Quel due con la fisica non c’entrava nulla.

Se per valutazione invece intendete attribuire un valore a quello che si fa a scuola, all’uso del tempo scolastico, a saperi e competenze che si apprendono è un’altra cosa. Attribuire un valore è un’attività che svolgiamo quotidianamente, quando attraverso la strada valuto la presenza o meno di un pericolo, quando incontro un amico valuto se mi posso fidare di lui o meno. Usiamo giudizi di valore in ogni momento senza neppure accorgercene. Quando mi rivolgono una domanda valuto se so rispondere o no, non valuto se la mia risposta starà tra zero e dieci, perché una cosa o la sai o non la sai. L’esperienza dello studio è come quando si intraprende un cammino e si vuole raggiungere una meta. Ci fermiamo da un lato a valutare la strada e le difficoltà già percorse, dall’altro a valutare la strada che ancora ci manca per raggiungere la meta e le difficoltà che ci attendono per sapere come attrezzarci per superarle. Da questo punto di vista se vogliamo dare “valore” allo studio le “valutazioni”, al plurale perché sono di diversi tipi quelle da fare, sono fondamentali.

È utile sostituire i libri con gli i-Pad?

Non so se conoscete il mito di Theuth. Nel Fedro, un dialogo di Platone, Socrate racconta la presentazione della tecnica della scrittura da parte del suo inventore, il dio Theuth, al re dell’Egitto Thamus. “Questo insegnamento, o re”, disse Theuth, “renderà gli Egiziani più sapienti e più capaci di ricordare, perché è stato inventato quale rimedio per la memoria e la sapienza”. Thamus non condivide l’entusiasmo del dio e replica: “Così tu ora, come padre della scrittura, per benevolenza hai detto il contrario del suo potere. Essa infatti procurerà l’oblio nelle anime di coloro che l’apprendono per mancanza di esercizio della memoria” .

Di fronte alle novità siamo tutti un po’ come il re Thamus, temiamo che tutto non sarà più come prima, temiamo di perdere qualcosa. Se l’uso dell’i-Pad mi consente di avere una conoscenza più vasta e approfondita rispetto a quella offerta dal libro, semmai dal libro di testo, perché no? Se invece l’i-Pad è un modo per scansare la fatica di studiare e di approfondire le proprie conoscenze allora è meglio spegnerlo e aprire il libro.

Come possiamo migliorare il mondo?

Studiate, studiate, studiate. Cercate di conoscere il più possibile, non stancatevi mai di apprendere.


Tag: Scuola Fratelli Bandiera, Seconde medie 2022

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